Amare sé stesse è una lotta. Ne sono sopravvissuta e rinata.

Sono nata tante volte, da 22 anni sempre nello stesso corpo che non era mai lo stesso davvero: cresceva, lo faceva male, con troppi peli strappati con ferocia, asimmetrico, con la pelle lacerata, bambina-ragazzina-ragazza-quasi adulta-giovane adulta.

Con cicatrici come arma di guerra, un corpo cresciuto stringendo i denti e con un coltello tenuto in bocca, spesso con la lama verso l’interno.

Sono stata femmina – donna – scimmia – putt-ta-na – sfigata sempre. Tutte quelle parole con cui iniziano a chiamarti per ogni cosa che non va bene in te: le tette troppo piccole, il culo che qualche altra ex ha sempre meglio di te, esagerata, bugiarda, falsa e soprattutto stupida. “No ma io non sono come-le-altre” da tradurre sempre come “io non sono stupida io non gioco con le bambole a me non piace il mondo di patti io mi arrampico sugli alberi io sono come te te-lo-giuro ti prego lasciami stare”.

Ho passato il 90% degli anni che ho vissuto fin ora a sentirmi stupida per ogni cosa: la mia emotività, i miei gusti musicali, i miei colori preferiti, la mia futura carriera, essere-donne-artiste-è-impossibile, i miei giochi, le mie amanti, le mie amiche, i miei amanti, i miei amici, essere-bisessuali-è-una-fase, i rossetti, le passioni, gli hobby, la carriera.

Sono sempre stata Angelo per chi ha deciso che ero di sua proprietà ed ero adibita ad amarlo mentre l’altra persona si odiava in ogni aspetto: tu sei migliore di me Ester, tu meriti di meglio, tu sei troppo per me, sei troppo emotiva, troppo troppo troppo troppo.

Ah beh allora lasciami essere troppo Mio Signore, sarà la giusta misura per me. Sarò Dio per chi non ha paura della mia interezza.

Sarò traboccante di ogni bellezza ma mai troppo fra le enormi mani di chi sa accogliere e sa che le mani non devono mai camminare scalze.

Sono stata così stanca di odiarmi, di essere arrabbiata, che l’amore per me stessa per la vita per chi ho attorno sia considerato un privilegio innato nel mio dna e non qualcosa per cui non mi sono mai arresa all’idea che non ci fossero alternative. E io ho pestato i piedi, mi arrabbio ancora, e faccio ancora i capricci nell’idea che davvero c’è qualcosa di migliore. C’è? Non me lo state nascondendo? C’è vero?

Ho cominciato a scrivere da ragazzina. Con vergogna. E tanta. Ecco perché ho deciso di inserire in questo articolo un racconto breve scritto anni fa. Perché sta volta sono io che ci credo. Perché sta volta non voglio mai più permettere a nessuno di dirmi che è stupido. Forse non è così stupido se rileggendolo l’unico dolore che provo è aver lasciato che qualcun altro decidesse al posto mio se aveva valore o meno, qualcuno che non avrebbe mai distinto la bellezza di una peonia dal tremore dinnanzi ad una quercia perché agli occhi di ha cieco il cuore sono piante e basta.

E io credo nel tremore, credo nella bellezza, credo nel vivere ogni emozione, credo profondamente che stiamo collettivamente crescendo, e questo è il mio augurio, di rivolta e lotta: amore e cura, per voi stesse sempre e di conseguenza per l’altrə. Non voglio più negarmi qualcosa che mi spetta, ci spetta, che merito, che meritiamo: la crescita. Crescete, cresciamo, ma non perdiamo la gioia e la leggerezza di amarci profondamente. “Non sei più una bimba spaventata” mi ha detto una persona tempo fa, e lo so. Non lo sono più. Sono una donna che ha inghiottito quella paura e l’ha resa gentilezza, rispetto, amore. Ma vorrei essere stata bambina a fondo per davvero senza paure che nemmeno da adulta mi spettano. E impegniamoci allora, che nessuno provi più questo terrore. Buona lotta. Con tutta la rabbia e con l’Amore che abbiamo in corpo.

Regina di ogni amore perduto e ritrovato

di Ester Parussini, da “La regina è addormenta e altre storie di quartiere

***

Non aveva un nome quel ragazzo. In realtà sì, ma a lei non importava. Lei aveva deciso che sarebbe stato un mezzo per arrivare alla soluzione.

-O ci mettiamo insieme o scriverò una intera raccolta sul dolore che mi farai passare.

Ricattatrice. Spietata. E tanto tanto triste.
Sono le quattro del mattino e lei è sulla sua macchina. Si frequentano da mesi e lei crede di essere innamorata, ci prova ad esserlo ma lo sa, per lei l’amore è ansia e ferite.

Alla prima uscita erano andati in un’osteria, avevano bevuto un calice di vino rosso della casa e avevano parlato per ore.

C’era una grande intesa, riuscivano a partire dalle farfalle per poi parlare di bosoni ed infine di che differenza ci fosse fra la cheese cake e il tiramisù in quanto a consistenza. Non erano felici però. Quando erano in macchina lui notava che lei apriva le applicazione di incontri, lei sapeva benissimo che lui si frequentava con altre persone. Uomini compresi. Non era un problema il non saper descrivere con una frase quel rapporto, la monogamia o la non monogamia, era il dolore immenso e smisurato che porta il non parlare la stessa lingua emotiva. Parlavano la stessa lingua solo a letto, ma soltanto l’accenno della parola “sen-ti-men-ti” faceva scendere il gelo immediato.

-Scriverò una intera raccolta, ogni mia parola sarà eco di ogni dolore che mi hai fatto sentire

Lei sbraitava urlava. Com’erano arrivati a questo punto? Dov’erano i voli pindarici di due mesi prima? Perché succede tutto così in fretta? Perché un giorno è amore, quello successivo è sputarsi addosso veleno, e quello dopo ancora è ignorare tutto e ripetersi.

Ripetersi. ripetersi ripetersi ripetersi. Riperdersi.

Non sapere dove siamo, chi siamo, chi ho davanti al mio viso da mesi. Dov’è che è finito il giorno in cui abbiamo smesso di rispettarci.

Dove sei? Mi rispondi? Dove sei? Come siamo arrivati qui. Dove sei amore io non so amarmi da solo ho bisogno che mi insegni tu a farlo.

Insegnami ad amare. Insegnami ad amare ma mentre lo farai deciderò io se me lo stai insegnando bene. Insegnami ad amare altrimenti io senza te non esito. Amore io esito? Mi vedi? Ci Vedi? Ci stiamo perdendo. Ci stiamo riperdendo. Ci stiamo ripetendo. No forse non sei tu l’uomo che ho amato in passato. Forse hai soltanto la stessa crudeltà. Forse sei acerbo, crudo, forse sono qui per elemosinare la violenza a cui non posso fare a meno. Amore ne farò mai a meno? Amore è violenza? Amore dove sei. Dove sei amore. Dov’è l’amore.

-non sono io pazza, sei tu che sei uno stronzo
-hai deciso tu di venire fino a Torino! Io non ti volevo più vedere!

Al secondo appuntamento avevano avuto delle difficoltà. La sedia a ruote di lei non passava dalla porta e in pieno dicembre avevano dovuto mangiare fuori. Ma era stato romantico e lei aveva goduto di quel momento. La luce fioca della candela, il risotto, lui che le continuava a ripetere che era bellissima e cercando di accennare di passare per casa sua. E così fu. L’appartamento era al piano terra fortunatamente, lei entrò con agilità e si bevvero un gin tonic seduti sul divano verde, come gli occhi di lui.

-non ti posso perdonare, non ora non adesso

Dopo il gin tonic e il susseguirsi di frasi con un chiaro obbiettivo decisero di spostarsi in camera.

Lei si sentiva a suo agio. Si spostò sul letto e si sbottonò la camicia.

Lui impazzì, era perso di quello che aveva fra le mani. Le labbra erano umide di alcol, di voglia, di saliva, di desiderio di mangiarsi e lasciarsi inghiottire dall’altro.

Era il secondo appuntamento, era presto e stavano bruciando tappe. Si riempirono di morsi, di baci, di graffi, godevano del godere. Lei negli occhi verdi di lui vedeva una speranza. Lui nell’iride scura di lei vedeva una scusa. E per quanto si sentissero fortunati non erano felici. Come puoi essere felice se hai scordato da tempo cosa significa amare senza lanciare ogni oggetto, bestemmia, veleno che hai fra le mani.

-Torino è una città che sa fare solo del male. Non sarai ne il primo ne l’ultimo a farmela odiare

Entrambi capirono che l’intesa che era presente nei discorsi poteva riversarsi anche in altri contesti. E cominciarono a vedersi spesso.
Passeggiate al fiume.
Ristoranti.
Giri in libreria.
Tutto sempre fieramente, nonostante le bugie e nonostante lui facesse spesso battute non piacevoli sulla disabilità di lei, sul suo aspetto, sul fatto che sì era una donna sensuale che lo faceva godere ma mai così a fondo, che sempre storpia e quindi meno donna sarebbe rimasta. E lei rispondeva sempre con rabbia, con ancora più cattiveria. Litigavano spesso per questo. Lei soffriva. Anche lui. Lui le comprò un giradischi e lei acquistò un vinile da 5 euro usato di De Gregori.

Passavano le notti ad ascoltare “buonanotte fiorellino” con lui seduto sulle ginocchia di lei, mentre lei faceva oscillare la sedia. E lì le bugie, i rancori, la tossicità velata del loro rapporto spariva. Erano un uomo bisessuale consapevole di essere molto bello, e una donna disabile bellissima a cui pesava il cuore. Per un attimo lui era un animale fra le braccia di una madre affettuosa. Per un attimo non desiderava altro che attaccarsi al suo seno e sentirsi piccolo, così piccolo fino a sparire fra le sue braccia. E lei, accarezzando i suoi capelli, sentiva come i coltelli si stavano affilando per lo scontro successivo.

-Lo sai che a me di Torino non me ne frega un cazzo, e nemmeno di te. Sparisci. Scompari e non cercarmi mai più.

Più passava il tempo, più i discorsi diminuivano e il sesso aumentava. Lei si era convinta che era attraverso il piacere che comunicavano. Attraverso i baci, le carezze, l’attenzione che lui poneva nel farle trovare una traversa sempre pulita, attraverso la dura dolcezza. Sperimentavano, si divertivano. Ma si sentivano sempre più soli.


Ed ora sono lì, sui murazzi del Po. Al punto finale. Alla conclusione.
Lei è completamente fuori di sé e per essere precisi, ha tutte le ragioni del mondo.
Lui tiene fra le mani una piccola bottiglia di amaro. Le è da molto che rifiuta gli alcolici.

-Stavamo bene. Io ho provato ad amarti. Ma come puoi tradirmi in questo modo?

-Ci siamo sempre frequentati con altre persone. Credi che non ti veda quando ti metti a scorrere il pollice a destra e a sinistra prima di andare a dormire?

-Mi hai tradito con Margherita cazzo! Non una persona qualsiasi. MAR.GHE-RI-TA. Lo sai chi è e cosa ha fatto per me.

-Lei è un infermiera, una stupida e semplice infermiera. Io un medico. Sai come funziona no? Le infermiere farebbero di tutto per salire di livello. Ma cosa ne vuoi sapere tu…


-Sto facendo il tirocinio, e lo sai benissimo. E lo sai quanto è stata fondamentale in questa scelta Margherita. Ma cosa ne vuoi sapere tu, di essere disabile e voler essere un medico, con il tuo ego gigante e una assoluta incapacità di risp…

Si trova una mano alla gola. Lui le sta facendo male. Dopo mesi di discorsi futili e sesso.


-Sono venuta a Torino solo per te. Non ci sarà mai nessun uomo per il quale farò una cosa simile. Lasciami andare.


Stacca la mano dal collo, prende la sedia a ruote dal retro, la apre provando una grande fitta alla schiena e infine ci sale. Mette lo zaino sullo schienale della sedia.

Lo guarda con disprezzo.


-Spero di non incontrarti mai più. E che tu possa smettere di raccontare che ti piacciono solo le donne, quando sappiamo tutti cosa fai con Mattia. E Riccardo.
Spero che tu possa capire che la mia disabilità è solo una minuscola parte di me. Spero tu possa guardarti allo specchio senza sputarti o vomitare, ma mi auguro ci voglia il maggior tempo possibile, e che ogni volta ti guarderai allo specchio vedrai quanto odio ti procuri. Non farti vedere mai più.


Sbatte la portiera e spinge più in fretta possibile le ruote.
La macchina di lui si mette in moto ma lei è già lontana ed entra in un bar.


-Desidera ordinare?
-Un caffè. Sa dirmi la strada per la stazione?


Dopo aver ringraziato, tiene a mente i passaggi per arrivare a Porta Nuova.
Più spinge più lascia lontano il ricordo di lui.
Era stato un mezzo. Un mezzo per capire la quantità perfetta di rispetto. La quantità giusta di affetto. La quantità di amore necessario a far crescere un rapporto.
Per fortuna non gli ha detto che è incinta. Per fortuna non sa che è successo probabilmente con la loro tenera e soffocante prima volta.

Avere un bambino per il corpo come il suo è difficile, ma con un cesareo probabilmente la situazione sarà gestibile.
Ora andrà a casa, nella sua Firenze.
Entrerà nel suo appartamento, a Le Cure, sentendo il suono della ferrovia alle sue spalle.


E per la prima volta si amerà. Si giurerà di farlo. E di farlo ogni giorno. Amerà quella donna così difficile da accontentare, così testarda, ma così…bella. Il tempo in treno passa in fretta, come passano in fretta i ricordi di lui. L’aveva sentito sbraitare qualcosa mentre scendeva. Pazienza era da anni, da dopo l’incidente, che tutti le appiccicavano soprannomi dolorosi.
Scende in stazione e si dirige verso l’appartamento.


E dopo il tempo necessario eccola, con un reggiseno di pizzo, vorrebbe tanto del vino ma sa che non può, il vinile che scorre, con la musica che riempie la stanza e la stanza non c’è più, c’è solo lei libera di amare il suo corpo non conforme.

Ripensa a lui e a quanto quel rapporto che credeva positivo l’avesse in fin dei conti distrutta. A quanto lei distruggesse per poi farsi distruggere e domandare poi di rifarlo. Pensa al suo futuro con il bambino che cresce nella sua pancia. Sarà al sicuro lontano dal dolore. Lei sta imparando a lasciare andare il suo. Lo vuole amare amare ed amare e fallo sentire amato.


Ed eccola lì, nella sua città, nel suo corpo, nella sua sedia, nei suoi dolori, nei suoi errori, nelle sue scelte, serenamente felice. Serenamente, non stranamente.


La disabilità spesso le aveva complicato la vita ma lei viveva a pieno la sua quotidianità. Faceva tutto anche se in modo diverso. Il suo corpo disabile le aveva insegnato ad amarsi.

A volte ripensa a quando correva sulla spiaggia. Ripensa alle gambe muscolose. Ripensa a quando il male alla spina dorsale non la coglieva impreparata. Ma a lei non importa. Ama, adora, il fatto di avere un corpo diverso. Non speciale, non brutto, diverso. La rende unica. Il suo corpo la rende se stessa. Il suo corpo le ha fatto conoscere persone che l’hanno cambiata.
Come lui. Come Margherita. Ma sopratutto lei era cambiata. Lei ha raggiunto la sua vera essenza. Suo figlio sarà felice. Oppure sarà una figlia, una splendida Futura. Crescerà completa felice, serena, consapevole delle limitazioni della madre ma con un amore smisurato.

Il sole tramonta su Firenze.
L’aria è quella di maggio inoltrato, quando si sente che l’estate è alle porte.
E lei è felice. É felice perché in se stessi si trova tutto.

Aveva perso se stessa tante volte. Ma ora guarda l’orizzonte e ha la sua unica certezza fra le mani. Lei. E l’essersi fedele sempre. Comprarsi i fiori, i dolci, darsi l’amore, darsi piacere, darsi cura. Darsi tutto quello che pretendeva facesse l’altro. Darsi quello che è sempre stato suo: Amore.

mare calmo, da “così è, il mare” (2020)